L’omosessualità era davvero considerata una malattia mentale??
Alla nascita del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM I – 1952) l’omosessualità viene classificata all’interno dei “Disturbi Sociopatici di Personalità”. Diagnosticata e presa in cura come malattia mentale, al pari della depressione o della schizofrenia. All’epoca quindi, buona parte delle persone con orientamento omosessuale veniva spinta a fare questa considerazione: “Sono un uomo attratto dagli uomini = sono malato e devo farmi curare”.
Con l’uscita del secondo volume dello stesso manuale, datato 1968, l’omosessualità viene invece categorizzata all’interno delle “Deviazioni Sessuali”, assieme ad altri disturbi quali necrofilia, pedofilia ed altri “Disturbi Parafilici”.
Un ulteriore cambiamento di classificazione avviene nel 1974, quando, con la pubblicazione del DSM III, l’omosessualità viene eliminata dalla classe delle “Parafilie”, assumendo però la definizione di “Omosessualità Egodistonica”, a voler sottolineare la mancanza di accettazione da parte dell’individuo del proprio desiderio affettivo e sessuale verso individui dello stesso genere.
Questo lungo e quasi inverosimile percorso tra le più fantasiose classificazioni giunge a termine nel 17 maggio 1990, quando prende concretamente forma l’idea che l’omosessualità non debba essere considerata una malattia mentale: finalmente l’orientamento omosessuale viene eliminato dal nuovo Manuale Diagnostico, DSM IV del 1994.
E così nel 1990, dopo anni di discussioni e contrasti, su ferma richiesta dell’American Psychiatric Association che dal 1973 combatteva per tale risultato, viene portata a termine questa lunga battaglia che ha avuto enorme impatto sulla vita di uomini e donne omosessuali, causandone estrema sofferenza, al punto, talvolta, di mettere in gioco la vita stessa.
Un buon traguardo, ma nonostante ciò ci sono ancora 37 Paesi al mondo nei quali l’omosessualità è considerata illegale.
E l’Italia? Come si posiziona nel mondo?
Poco più di un anno fa (11 maggio 2016) è stata approvata la legge sulle Unioni Civili che riconosce le coppie omosessuali e ne disciplina la convivenza; un passo importante, non c’è dubbio, ma questo ha portato anche all’abolizione dei pregiudizi? Quanti di noi ancora guardano con occhio stranito la coppia omosessuale seduta accanto a loro al cinema? Quanti genitori si preoccupano ancora che il proprio figlio “diventi omosessuale”? La Legge Italiana si sta aprendo ma la mentalità di molti di noi è ancora molto chiusa.
Perché se una giovane adolescente alle prime esperienze affettive, si innamora di un’altra giovane adolescente, si trova ancora a non potersi sentire libera di esprimere e manifestare il proprio sentimento, tanto nuovo, forte e puro? Doversi nascondere e talvolta vergognare, sentirsi in colpa, diversi, sbagliati, già in giovane età, predispone allo sviluppo di sofferenza e psicopatologia in età adulta. E non per il nostro orientamento sessuale, ma per la scarsità nel nostro paese di tolleranza e libertà di espressione.
Perché nel 2018 tante, troppe persone, devono ancora subire discriminazioni continue e addirittura violenze per il proprio orientamento sessuale? Le parole, gli sguardi, feriscono e fanno soffrire. E la sofferenza ripetuta porta a non sentirci più sereni nel nostro modo di essere, nel nostro mondo, nella nostra vita. Porta a desiderare un’altra vita. Fino a portare in ultimo allo sviluppo di una psicopatologia; e quando da questa non vediamo vie di uscita, la sofferenza porta all’unica via rimasta del suicidio.
“Di per se stessa, l’omosessualità è limitante quanto l’eterosessualità: l’ideale sarebbe essere capaci di amare una donna o un uomo; indifferentemente, un essere umano, senza provare paura, limiti, od obblighi.” – S. De Beauvoir
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